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Economia, potere, così come case, persone e lavoro, ma prima di ogni altra cosa città: tutto negli
ultimi anni è chiamato a diventare “smart”. È questa l’era della smart economy, della smart
governance, della smart home, delle smart people, dello smart work e della sempre più
imperante smart city. Con il sostegno della scienza, o meglio delle diverse scienze (ingegneria,
politologia, urbanistica, architettura, sociologia, etc.) che ne spieghino i fondamenti a monte e
della politica che, ai vari livelli (nazionali e internazionali), ne orienti i processi a valle, la
smartness diventa il nuovo orizzonte della società contemporanea a cui conformare senso e
prassi su scala planetaria. Ma cosa significa, per un luogo come per una attività, per una persona
come per una collettività, essere “smart”? Qual è il denominatore comune che lega tra loro le
diverse declinazioni del termine, come gli ambiti di applicazione? Quanto questa ricerca di
intelligenza è ricerca di efficienza? E quanto l’efficienza è di per sé garanzia di intelligenza?
Dopo un breve excursus sul concetto in oggetto e suoi ambiti esplicativi, l’analisi si concentra
sul postulato dell’integrazione quale principale condizione di realizzazione della smartness,
anche per fini efficientisti. È l’integrazione la vera sfida contenuta nella smartness e la vera
promessa, al momento non mantenuta, della società performante
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